Articolo pubblicato su “Libero” in data 12/03/2022
di Tiziana Lapelosa
Schiene curve e occhi paralizzati. E bisogna fare attenzione a “non disturbare”. Il ragazzino, o la ragazzina, eternamente connesso e richiamato alla realtà potrebbe rimanerci male ed avere reazioni violente, al pari di un drogato a caccia della dose. E qui la dose non è costosa polvere bianca, ma un aggeggio chiamato smartphone. Lo spacciano per futuro, tecnologia senza la quale non si può andare avanti. Invece è distruzione, un cancro che, senza dare segni, lento mangia la nostra intelligenza e quella dei nostri figli che – la scienza lo ha provato – hanno un quoziente intellettivo inferiore rispetto a nonni e bisnonni. Dei danni da smartphone sulle menti delle future generazioni se ne è accorto pure il Senato. Più precisamente, la VII Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport). È qui che il senatore di Forza Italia, Andrea Cangini, ha esposto i danni di questo male oscuro e lanciato l’allarme. “Coca Web – Una generazione da salvare” (ed Minerva pp 175 euro 15) è il titolo del libro in cui il senatore e componente la Commissione ha racchiuso il suo pensiero e quello di quanti hanno contribuito all’indagine conoscitiva da lui promossa dal titolo “Impatto del sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”.
Il bilancio è drammatico. Già meno intelligenti dei loro avi – ed è la prima volta che accade nella storia dell’umanità – le nuove generazioni sono come “imbambolate”, “inghiottite”, da tablet, telefonini, pc. Così mentre «calano le facoltà mentali», spiega Cangini, «cresce il loro disagio psicologico e ansia, stress, disturbi alimentari, autolesionismo ed aggressività entrano a far parte del quotidiano».
Qui non si tratta di frasi fatte, osservazioni di vecchie zie e simpatiche nonne che ripetono “ai miei tempi si faceva così…”, che pure hanno la loro valenza. E hanno ragione quando dicono che certe diavolerie fanno male al cervello se pure la scienza sottolinea che forse, noi adulti, stiamo sbagliando in qualche cosa. Lo dicono psicologi, neurologi, psicoterapeuti, pedagogisti, sociologi, linguisti e perfino grafologi e forze dell’ordine. Esperti che da anni studiano il fenomeno e che sono stati chiamati a dire la loro durante i lavori in Commissione. Risultato? Tutti ad affermare che il web e i suoi derivati sono il male. Assoluto. Cerchiamo di capire perché.
L’autore del libro dice che lo spunto di «fare qualcosa» gli è venuto qualche tempo fa, quando la figlia allora dodicenne e non “drogata” di rete, osservando il fratellino che gioca alla play station, al padre dice: «Guardalo, sembra indemoniato». Il campanello d’allarme scatta e Cangini si chiede «sarà proprio così?». Inizia a documentarsi e fa una scoperta che lo disarma: da una inchiesta del New York Times viene fuori che ai figli dei top manager dei giganti del web è vietato usare tablet e telefonini, che hanno regole ferree da seguire, che frequentano scuole in cui si usa la lavagna (quella vera) e il gesso (quello vero che graffia e fa rumore). Proprio loro, i top manager che ci tengono in pugno, che con il web hanno conti correnti da fare invidia a chiunque e che con la rete lavorano per dominare il mondo, fanno vivere i propri figli come negli anni precedenti il boom tecnologico. È un po’ come se i dirigenti e gli operai della Ferrero impedissero ai propri figli di mangiare la Nutella. Poi arrivano i numeri a certificare che l’allarme non è infondato: in Corea del Sud, dall’altra parte del mondo rispetto alla Silicon Valley, il 30% dei giovani tra i 10 e i 19 anni è classificato come «troppo dipendente» dal proprio telefonino, che qui sono nati ben sedici centri di disintossicazione dal web (un po’ come quelli che in Italia curano la ludopatia), che in Cina ci sono 24 milioni di malati da rete e che questi vengono curati attraverso un inquadramento militare, con indosso tute spersonalizzanti (tipo le divise dei partecipanti alla fortunata serie “Squid game”), costretti ai lavori forzati e ad assumere psicofarmaci. Ce ne sono 400 di questi centri all’ombra del Dragone, il primo è nato ben 15 anni fa. Come non allarmarsi? Ma soprattutto, che fare? «Dovrebbe essere semplice», osserva il senatore Cangini, «la legge impedisce ai giovani di guidare e di fumare. Sarebbe opportuno introdurre anche dei divieti per l’utilizzo della tecnologia digitale almeno per i minori di 14 anni». In Cina esiste già una legge che vieta ai minori di 18 anni di usare i videogiochi. O meglio, lo possono fare, ma soltanto dal venerdì alla domenica e per non più di un’ora al giorno. Altrimenti il rischio è quello di ritrovarsi con milioni di hikikomori, così sono chiamati i giovani giapponesi (se ne contano un milione) che non fanno nulla se non starsene chiusi in camera connessi alla rete. Praticamente degli zombie, difficili da recuperare. Fino a qualche anno fa sembravano cose dell’altro mondo. Invece in Italia ce ne sono già 100mila così, isolati e tristi. Del resto, come evidenziato da un rapporto delle Nazioni Unite, un altro limite dell’uso del web è la perdita della possibilità di essere felici. «Dall’introduzione del primo iPhone in poi, abbiamo avuto un deterioramento misurabile nella felicità, soprattutto tra i giovani. Crescono le manifestazioni di ansia, stress, perdita di sonno, depressione. Peggiorano le interazioni sociali. Non è solo un problema giovanile, ma per quella generazione il tempo passato sugli schermi degli smartphone sta sostituendo il tempo di vita. Si può essere dipendenti da sostanze, ma c’è anche una dipendenza comportamentale le cui conseguenze sono altrettanto distruttive», scriveva l’economista della Columbia University di New York, Jeffrey Sachs. Come dargli torto?
E che dire, poi, del fatto che non si scrive più con la penna e a scuola nemmeno il corsivo è incentivato? «I bambini non sanno più usare le mani», ha spiegato alla Commissione Alessandra Venturelli, presidente dell’Associazione Italiana Disgrafie, «ad esempio, e generalizzo, non sanno più lavarsi le mani o soffiarsi il naso. Non sanno più allacciarsi le scarpe, anche perché compriamo scarpe a strappo. Non sanno usare il cucchiaio, perché non glielo insegniamo. Non sanno abbottonarsi, perché non compriamo più delle maglie con i bottoni, ma felpe e magliette. Tutto avviene sempre nella logica di fare presto e non avere alcun problema». Lo stesso vale per la scrittura, che serve ad attivare delle piste cerebrali altrimenti assopite. I bambini, però, «sanno manovrare benissimo il joystick e il controller di un videogioco», dice l’esperta, secondo la quale «le abitudini cambiano, ovviamente, per colpa degli adulti, in primis dei genitori». Già, i genitori che «dovrebbero avere la forza di esercitare la propria autorevolezza senza dipendere dal consenso dei propri figli», osserva Cangini. Invece, succede che per farli stare zitti, accontentarli, si lascia che giochino con i telefonini a casa come al ristorante.
Invece, si legge nel libro “Coca Web” bisogna educare i giovani e i loro genitori, «spiegare loro i danni irreparabili sulla loro mente, sul loro corpo, sulle dinamiche del loro gruppo di amici», spiegare «l’importanza nella vita della competenza, il valore del sapere, il gusto dell’approfondimento, il piacere della speculazione intellettuale», ma soprattutto «il valore della parola, il senso dell’onore, l’importanza delle idee. E l’uso della logica». Anche agli insegnanti e a quanti lavorano per eliminare lo studio del latino e del greco dalle scuole, a ridurre gli anni delle scuole superiori, a rendere la scuola sempre più tecnologica.
Per capire su che strada ci stiamo immettendo, basta leggere alcune dichiarazioni di chi col web ci ha vissuto, che poi si è dichiarato “pentito” e che Cangini ricorda nel suo libro: «Il Web ha rovinato l’umanità invece di servirla… è arrivato a produrre un fenomeno che in larga scala è antiumano», parola di Tim Berners-Lee, creatore del primo sito Web al mondo. Tim Kendall, ex direttore della monetizzazione di Facebook ha detto: «I nostri servizi stanno uccidendo le persone e le stanno spingendo a suicidarsi». E Tristan Harris, ex dirigente di Google: «Squadre di ingegneri hackerano la psicologia delle persone per tenerle connesse e fargli fare quello che vogliono. Abbiamo creato un Frankenstein digitale incontrollabile». E ancora: Sean Parker, creatore di Napster e primo presidente di Facebook: «Solo Dio sa i danni che i social network hanno creato al cervello dei nostri figli». È abbastanza?
Ora che il Senato ha preso consapevolezza che esiste una malattia chiamata rete, si spera di trovare la cura. Intanto, il senatore azzurro presenterà un disegno di legge per «obbligare le compagnie del web a rendersi responsabili delle conseguenze del loro business e utilizzare parte dei lori ricchi proventi per le campagne di informazione. Così come si obbligano le compagnie di tabacco a parlare dei danni del fumo». E per sensibilizzare la popolazione, Cangini porterà in tour il suo Coca Web in giro per l’Italia. A supportarlo anche Cesare Cremonini, il cantautore «che con coraggio parlerà dei danni dei colossi del web».